28/06/2015
A palazzo del Duca, domenica 28 giugno, comunicazione sulla fotografia di Curzio Malaparte
"Il Musinf di Senigallia", premette il prof. Bugatti che lo dirige, "e' un museo, che annovera tra i suoi fondatori Orfeo Tamburi ed e' logico quindi che io segua con interesse quanto riguarda Curzio Malaparte. Percio' da quando il dr. Mosoni, certo un amico di Senigallia e del Musinf, mi ha parlato del libro "Curzio Malaparte l'occhio nel taccuino", pubblicato da M.me Webb editore per l'Istituto Italiano di cultura di Lima mi sono attivato fino ad avere dal curatore, il pittore Marcovinicio, la disponibilita' delle immagini pubblicate nel libro e perfino del testo di presentazione, che e' stato scritto da Michele Bonuomo". Bisogna sapere che Bonuomo e' il direttore della rivista Arte, ma anche un geniale collezionista di fotografia, tanto che e' riuscito a raccogliere nel suo archivio di Milano ben mille negativi di fotografie scattate da Curzio Malaparte. In verita', nella raccolta di Bonuomo, un vero tesoro, ci sono foto di von Gloeden e Pluschow, di Mapplethorpe, Koudelka. C'e' il nudo senile di Vincenzo Gemito ritratto da Ferdinando Lembo. Ci sono scatti di Cartier Bresson, di Cecil Beaton, Robert Capa, Helmut Newton.
"Domenica 28 giugno al Palazzo del Duca", dice il prof. Bugatti "avremo l'occasione di puntare l'attenzione sulla fotografia di Curzio Malaparte". Michele Bonuomo ha raccontato che in tre occasioni della sua vita, Curzio Malaparte - scrittore, giornalista, polemista, teorico politico , uomo di teatro e uomo di mondo - e' diventato anche fotografo. Dimostrando anche di avere qualcosa in piu' dei tanti pittori, scultori, poeti, viaggiatori, architetti, cineasti e intellettuali, riconosciuti e ammirati per il loro mestiere, che fanno parte della categoria degli amateur della fotografia.
Bonuomo ha anche premesso che se da un punto di vista strettamente tecnico puo' essere annoverato nella nobile schiera dei dilettanti (termine che al ribasso traduce quello francese di amateur), Malaparte non e' tale pero' su un piano formale e di contenuti, dimostrandosi volta per volta un reporter consapevole della verita' dell'immagine fotografica, e a suo agio nella ricerca del momento decisivo quando testa, occhio e cuore sono perfettamente allineati. La prima volta in cui Malaparte affianca alla macchina da scrivere quella fotografica succede dal gennaio all'aprile del 1939: il Corriere della Sera lo ha inviato in Etiopia per raccontare in presa diretta e senza troppi fiammeggiamenti retorici il processo di italianizzazione dell'Impero e le aspettative di quanti cercano un posto al sole. Il viaggio dura poco piu' di due mesi.
La pubblicazione del suo reportage andra' avanti, non senza polemiche con il direttore Aldo Borelli, ricriminazioni economiche, improvvise sparizioni e vere o presunte malattie, dal 4 maggio - "da bordo" del piroscafo Palestina racconta la traversata che da Napoli sta portando i nuovi coloni alla volta di Massaua e Assab - al 7 novembre, data in cui firma la sua ultima corrispondenza da Zendebur, nelle gole di Beresa'. Malaparte scrive in tutto 13 "articolesse" per la terza pagina del Corriere della Sera e scatta circa quattrocento fotografie (i formati dei negativi sono quasi tutti 4,5 per 6 centimetri; pochi quelli 6 per 6, e 6 per 9). In altre due corrispondenze fa cenno ancora piu' esplicito alla fotografia: nel servizio che spedisce da Adua "Il Cristo di Axum" (pubblicato sul Corriere il 6 giugno 1939) racconta di essersi recato a comprare le pellicole nella bottega di un fotografo italiano che gia' da tempo lavora nel Tigrai, e poi nel servizio "Allegria a Ghembeva'"(14 settembre), nel descrivere uno scontro tra Ascari e scifta', si rammarica di non aver fatto in tempo a caricare la macchina per fotografare una mandria di buoi spinta in avanti dai guerriglieri etiopici. La seconda occasione di un vero e proprio reportage fotografico si presenta durante la guerra nei Balcani, dove dall'aprile al maggio 1941, sempre per conto del Corriere della Sera, Malaparte segue la disfatta dell'esercito serbo e l'avanzata delle truppe corazzate tedesche.
Dal 10 aprile al 9 maggio scrive 12 articoli e scatta in questa occasione una ventina di rulli di formato Leika. "Anche in questi servizi" scrive Bonuomo "non v'e' ombra di retorica, ma e' accentuata - ancor piu' che in Africa - l'attenzione per un'umanita' dolente e dignitosa di fronte ai disastri di una guerra che gia' s'intuisce tragica per tutti, per i vinti e per i vincitori. Le distruzioni dei bombardamenti, i palazzi sventrati, i ponti distrutti, i cumuli di macerie, lo smarrimento della gente, la natura ferita, gli animali sterminati e abbandonati sulle rive dei fiumi ... anticipano per immagini le pagine piu' nere e senza speranza di Kaputt (1944). Si puo' dire che questi scatti, forse meglio dei testi delle corrispondenze scritte per il giornale, sono gli appunti piu' nitidi e piu' secchi di quel girone d'inferno che tre anni piu' tardi trovera' forma piena in uno dei romanzi piu' potenti dell'epoca. Allo stesso tempo, sono immagini che vivono di vita propria: hanno quell'autonomia espressiva e narrativa inseguita e catturata dai grandi reporter in stato di grazia".
Per queste fotografie Malaparte non deve fare i conti con nessuno, se non con una realta' che chiede di essere guardata con occhi ben aperti. Il viaggio in Cina, fatto nel 1956, e' infine l'ultima circostanza in cui lo scrittore utilizza la macchina fotografica. Gli scatti (pochi rulli finora conosciuti, di formato 6 per 6 e quasi tutti a colori) sono i piu' deboli. A una prima verifica sembrano quasi istantanee turistiche, distratte, marginali: "ruba" sguardi di bambini o di vecchi nelle strade affollate di Pechino, appunta lo scorcio di qualche monumento o l'enigma di un Buddha senza tempo scavato nella roccia. Si ha la netta sensazione che sta guardando il mondo con la coda dell'occhio. Anche la testa e il cuore sono altrove. Forse, sente di non aver troppo tempo davanti a se' per caricare le fotografie di altre attese. Meno di un anno dopo, Malaparte muore. Ha cinquantanove anni.

Fotografie di Curzio Malaparte: 1 - 2


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