19/06/2018
Nori de' Nobili è l'Alda Merini della pittura italiana
Sempre nuovi contributi sull'opera e sulla figura di Nori de' Nobili. Chiara Giacobelli è una scrittrice e una giornalista. Nata nel 1983, si è laureata con lode in Scienze della Comunicazione con una tesi sul cinema di Michelangelo Antonioni e Luchino Visconti, per poi specializzarsi sempre con lode in Editoria, Comunicazione Multimediale e Giornalismo presso l'Università di Roma Tor Vergata, dove ha conseguito il Premio Raeli destinato ai più brillanti studenti dell'Ateneo. Ha iniziato a dedicarsi al giornalismo nel 2006. Nel 2010 è entrata a far parte dell'ufficio stampa del Senato della Repubblica a Palazzo Madama. Nel 2011 ha esordito ufficialmente come scrittrice con il libro "101 cose da fare nelle Marche almeno una volta nella vita" (Newton Compton Editori), sempre per la Newton Compton ha scritto "1001 monasteri e santuari in Italia da visitare almeno una volta nella vita". Nel 2015 è arrivato in libreria con la stessa casa editrice "Forse non tutti sanno che nelle Marche...", che ha visto tre ristampe in poco tempo. Hanno fatto seguito l'apprezzato romanzo d'esordio "Un disastro chiamato amore" edito dal gruppo Fanucci (Leggereditore) e "101 cose da fare in Veneto almeno una volta nella vita”. Il prof. Bugatti, direttore del Museo Nori de' Nobili, in un incontro sulle prossime iniziative espositive del Centro, ha segnalato come, liberamente ispirandosi alla vita di Nori de' Nobili, Chiara Giacobelli, abbia pubblicato, su Huffington Post, un articolo partendo dall'indicazione che non tutta la collezione delle opere di Nori de' Nobili si trova a Ripe, poiché una piccola ma non meno preziosa parte delle sue creazioni è conservata presso la Pinacoteca Civica Claudio Ridolfi a Corinaldo. La Giacobelli ha poi sottolineato come l'arte eclettica e meravigliosa di Nori abbia raggiunto Milano, grazie a una mostra presso la Casa delle Arti - Museo Alda Merini, gemellato con quello di Trecastelli. "Un evento, quest'ultimo, che" ha notato la Giacobelli "non risulta per nulla un caso, di fronte all'evidente somiglianza di espressione e di sentire tra due donne che mai del tutto furono comprese, nella propria incredibile genialità e incontrollabile emotività".
Ecco l'avvincente testo di Chiara Giacobelli: "Giaceva su quella traballante e scomoda seggiola di legno da ore. Davanti ai suoi occhi stanchi, contornati di ombre nere rigonfie sotto le palpebre, si stagliava una tela anch'essa scura, lugubre, inquietante: era uno delle migliaia di autoritratti che in quegli anni di reclusione aveva dipinto, ma stavolta c'era qualcosa di diverso, come se il quadro stesso presagisse che il suo destino non era quello di venir concluso, bensì di restare nei secoli a testimonianza degli ultimi momenti, degli ultimi pensieri; una lettera di addio angosciante e cupa. Nori depose il pennello e incrociò le mani sul grembo. Avrebbe voluto alzarsi per andare a cercare il morbido gatto che di quel manicomio aveva fatto la sua casa, come d'altronde numerosi altri individui senza senno e senza futuro. Tuttavia, le forze le venivano meno: la malattia l'aveva invasa al pari di una foresta di alberi fitti e bui, non lasciandole nulla ad eccezione della sua arte. Alzò lievemente la testa indolenzita e guardò fuori dalle finestre minute: le colline splendevano sotto i raggi del sole, gli uccellini cinguettavano, l'estate sbocciava. Il suo pensiero tornò ai giorni felici dell'infanzia. Nori de' Nobili era nata nel 1902 in una famiglia che teneva alto il suo cognome, prima figlia di un uomo d'armi e di una gentildonna; le fecero seguito la sorella Bice e l'amato fratello Alberto. Sebbene la sua educazione fosse imperniata sullo studio della musica, della poesia e della pittura, su un'ampia cultura accademica e su insegnamenti artistici di prim'ordine, la realtà era che da lei ci si aspettava soltanto un buon matrimonio, come si addiceva alle abbienti fanciulle dell'epoca; in verità, quindi, nessuno diede mai un elevato valore al talento che Nori dimostrò di possedere sin da giovanissima. Eppure, le immagini che ora le scorrevano nella mente una dopo l'altra, come un film che in breve ripercorreva la sua esistenza travagliata ma piena, erano istantanee intrise di gioia. Così, eccola di nuovo bambina, quando giocava a nascondino tra i corridoi della grande, immensa Villa Centofinestre, uno degli edifici storici più autorevoli e celebri nell'entroterra senigalliese. Pesarese di origini, ben presto fece di quel colosso sulle colline verdi delle Marche la sua tana e il suo rifugio dal mondo, mentre la vicina frazione di Ripe, con l'antico castello aggraziato e la piazzetta grondante di vita, era spesso meta delle passeggiate con la famiglia, o più tardi da sola. I suoi occhi attenti catturavano odori, colori, forme, il dolce ondulare del paesaggio, le spianate dei campi di grano, i merli perfettamente intatti del vecchio nucleo urbano, soffermandosi talvolta sull'espressione intenta della sorella mentre suonava un mandolino, oppure sul profilo sognante di un fratello che moltissimo sentiva di amare e a cui confidava ogni cruccio o aspirazione. Furono anni lieti, quelli di Ripe e della Villa Centofinestre, come pure lo fu il periodo della gioventù, età in cui si trasferì con la famiglia a Firenze per inseguire il segreto desiderio di divenire, un giorno, un'apprezzata pittrice. Ancora ferma, dritta nella schiena e sofferente nell'animo, Nori fissava la tela davanti a sé, ma vedeva tutt'altro. Adesso erano le serate accalorate nella bella Firenze che gorgogliava d'arte e misteri a impossessarsi dei suoi ricordi: insieme a lei, in quella stanza dentro una casa di cura modenese, ecco apparire il grande pittore Giusto Cespi che la iniziò alle tecniche della rappresentazione, Ludovico Tommasi - tra i massimi esponenti dei Macchiaioli - e persino il critico Aniceto del Massa. Uomini che l'avevano amata, ascoltata, aiutata a farsi strada in un ambiente ancora prettamente maschile, dove la passione per il disegno si intrecciava alle fantasie sensuali, in un'esplosione di stimoli, emozioni, speranze culminate con la sua partecipazione nel 1930 alla IV Mostra Regionale Toscana. Era così che sarebbe dovuta andare: quello era il futuro che aveva intravisto per sé, lo aveva persino sfiorato e di certo voluto con tutta se stessa. Invece, da un giorno all'altro ogni cosa cambiò, perché il fato, si sa, fa il suo corso incurante delle ambizioni umane; e se decide di piegarti per sempre, non esiste maniera di fermarlo. Alberto se ne andò all'improvviso, in un giorno dal cielo ricoperto di nuvole ingorde e raffiche gelide. La morte era sopraggiunta in un battibaleno, portandoselo via nel giro di pochi tramonti, sotto il sudore della febbre e le piaghe della malattia. Nori la vide fare e disfare impotente, incapace di arrestare quel cumulo di dolore che d'un tratto invase la sua famiglia e il suo intero essere, già sfibrato da una sensibilità troppo spiccata, da una vena artistica il cui prezzo costava caro e da una prigionia dorata che la voleva donna come sarebbe dovuta essere, non già come lei immaginava di diventare. "Pallida fronte sotto scura chioma, occhi incavati in espression febbrile, torbido sguardo contro il mondo vile, tragica donna, che non fu mai doma. Pallida paloma." I poveri nervi provati della promettente pittrice cedettero, spezzandosi come un ramo e trascinandosi dietro tutto quanto vi era attaccato: amori, illusioni, fantasie, progetti e batticuori vennero spazzati via, costringendo i genitori a trasferirla presso la casa di cura Villa Igea di Modena; per i tempi che correvano si trattava di una struttura prestigiosa e all'avanguardia, con un trattamento speciale riservato a lei soltanto. Nonostante ciò, era pur sempre un manicomio della prima metà del Novecento; una gabbia dalla quale non uscì mai più, se non da morta. In quei lunghi anni di solitudine e reclusione, Nori de' Nobili produsse migliaia di opere, scandagliando le più oscure sfaccettature di se stessa attraverso l'uso di generi quanto mai differenti: dall'influenza netta dei Macchiaioli all'Espressionismo, da soggetti di estremo realismo ad altri di stile astratto, dando sempre la priorità ai colori, alle forme, alle emozioni. Se i lavori di gioventù vedono un particolare interesse per i paesaggi ai quali era legata e per gli affetti familiari, o per le scene di vita quotidiana durante la parentesi fiorentina, dall'età di 35 anni - quando cioè il suo spazio di movimento si ridusse alle spoglie mura dell'ospedale psichiatrico - la sua attenzione si concentrò principalmente sull'autoritratto, attraverso il quale Nori scappava con la fantasia dal luogo terreno in cui si trovava per volare verso altri lidi e altre sé. Iniziarono pertanto a comparire con più frequenza i temi della maschera, dei clown, del diverso, del travestimento e della bambola: infinite Nori per un'anima sola senza tregua”. |