16/07/2017
Gli autoritratti di Katiuscia Biondi Giacomelli entrano nell'archivio Bonomi dell'autoscatto italiano
![]() Un'intervista a Katiuscia Biondi Giacomelli del prof. Bugatti, sara' pubblicata nel prossimo numero dei Quaderni del Musinf, dedicati alle nuove acquisizioni dell'istituzione senigalliese. Ecco in anteprima il testo dell'intervista Per costruire, far vivere far crescere un Museo ci vogliono scelte coraggiose, coerenti e qualitative, dunque, anche se mi e' nota la sua scelta di non promozione come fotografa, sono a chiedere: per le aperture serali estive 2017 il Musinf potra' disporre del suo autoritratto con la decollazione? E ancora, per la raccolta dell'Autoritratto Italiano, coordinata da Giorgio Bonomi, il Musinf potra' disporre della serie intera di fotografie, cui quello scatto appartiene? Gia', la mia scelta di non promuovermi come fotografa! La prima responsabilita' e' sicuramente quella di gestire insieme a mia madre Rita, figlia primogenita dell'artista, l'Archivio Mario Giacomelli - Rita Giacomelli. Un impegno che mi vede da tempo in campo con pubblicazioni, seminari e mostre, come filosofa della fotografia. Lei lo sa, ne abbiamo parlato in diverse occasioni. Ma questa volta, la sua richiesta cosi' appassionata mi mette nella condizione di non volerla deludere, e cedere cosi' alla sua idea, che riconosco acutamente metaforica, di esporre al Musinf la mia foto in cui "mi taglio la testa". La richiesta poi e' motivata dalla partecipazione con i miei autoscatti (con la serie intera a cui la foto della decollazione appartiene) all'Archivio Bonomi sull'Autoritratto in Italia, un Archivio che ha una consistenza di progetto e di firme autorevoli cui certo non posso sottrarmi. Della serie donata all'Archivio Bonomi, quali foto ritiene piu' significative? Una serie di foto ha la sua bellezza nella sua serialita'. Nel senso che il significato passa attraverso la catena d'immagini, in movimento. Ma un paio di foto potrebbero essere l'apice del discorso: quella - cosi' piena di contraddizioni - del primo piano di un mio sorriso pieno, goduto a occhi chiusi mentre una lama di ferro mi sta tagliando la gola, sotto lo sguardo impassibile di un cane, bianco come la luce abbaiante che penetra dall'alto. Il cane e' impagliato, ed e' proprio uno di quelli usati da mio nonno Mario per le sue foto degli anni '90. Poi c'e' quella in cui invece faccio tutt'uno con i cani di Giacomelli, attraverso una ripresa dal basso, e in questa ci rivedo quel che vivevo nel rapporto con mio nonno, regista in un mondo altamente ritualizzato e fantasmatico. Il mondo dentro la fotografia era quello vero, per lui. Perche' la scelta di ridare vita ai cani impagliati? Ho ripreso i cani impagliati di Mario Giacomelli forse per parlare con lui, o con me. Sono i cani che lui aveva usato nel suo periodo della maturita', nell'ultimo decennio di produzione artistica e di vita, per costruire uno scenario Vuoto da cui partire per fotografare il mondo. E' in questo vuoto che, con l'autoscatto, Giacomelli s'immette nelle sue fotografie, entrando cosi' sotto la pelle del reale, in un paesaggio ormai cosi' essenzializzato da sembrare al di la' del tempo, forse a ricongiungersi a quell'umanita' perduta, quella dei ricordi. E il passato cosi' torna a essere presente. Qui sembra pervadere una grande solitudine, quella della concentrazione e per la connessione. Nel silenzio di questa lontananza Giacomelli aveva trovato la chiave per fondersi con il mondo. Ho ripreso i suoi cani e mi sono fotografata anch'io in un silenzio, il silenzio della solitudine nella cura costante della mia preziosa radice, quest'uomo che tanto ha creato nell'arte fotografica e che tanto abita il mio presente da farmi a volte dimenticare di me stessa. Sono paradossi senza soluzione. Questa serie era come un atto di ribellione a cui pero' non ho nessuna intenzione di ribellarmi, perche' la radice e' ben salda a terra e mi fa crescere verso il cielo. Amo et odi (questo il titolo della serie) la mia preziosa radice. |